Antonella Chippari
Stiamo vivendo un grande paradosso: inseriti in un mondo di “connessioni” che aumentano le “distanze”.
Siamo isole immerse in un mare di relazioni “liquide”. Liquida é anche la nostra identità lavorativa che a stento galleggia in un mare di ruoli “per ripiego” e di contratti precari. Costretti a navigare su una zattera in balia del costante ondeggiare di questo mare instabile cerchiamo di adattarci per non affondare in un presente incerto. Le parole “sicurezza” e “progetti” oggi sono quasi un miraggio che osserviamo all’orizzonte.
E mentre il futuro ci galleggia davanti rischiamo di restare sempre più arenati in prossimità della nostra piccola, angusta ma conosciuta isola piuttosto che affrontare il rischio di prendere il largo. Quando, però, il maremoto del malessere ci sorprende ci ritroviamo immersi in quel mare di solitudine che ci fa sentire isole, mentre avremmo bisogno di essere continente.
Il continente che ci appartiene in quanto persone, il continente pieno di altri che sono lì, persone, pronte ad offrire braccia che aiutino le tue a stringere le funi che tengono insieme i tronchi della tua zattera perché diventi barca, occhi che sostengano i tuoi nel guardare il tuo orizzonte, mani che sostengano le tue nel tenere il tuo timone. Altri che, con la loro presenza, ti ricordino che puoi scegliere la direzione da dare alla tua barca.
Essere continente vuol dire essere comunità. Sentirsi parte attiva di una comunità dove insieme agli altri costruiamo futuro e benessere.
Ecco perché costruire un faro che indichi la terra ferma, non la terra di una solitaria e angusta isola, ma quella del nostro continente.
Psicoterapia Aperta é un progetto che ci ricorda che siamo continenti dove, insieme agli altri, costruiamo salute perché nessuno sia solo in mezzo al maremoto.
A noi professionisti della salute ricorda la nostra responsabilità verso la presa in carico del benessere della comunità e delle persone al di là della loro disponibilità economica.
Ci ricorda che aiutare le persone che per loro difficoltà non possono sostenere, o non possono più sostenere, costi elevati per le sedute non vuol dire né “essere di buon cuore”, né sottovalutarsi ma semplicemente fare il nostro dovere di professionisti della salute in quanto diritto universale.
Alle persone tutte ricorda il proprio diritto di prendersi cura della propria salute psicologica. Non solo, adeguare le tariffe alle reali possibilità della persona, ricorda a ognuno la sua responsabilità nel prendersi cura della salute e del benessere degli altri perché pagare il giusto per sé consente ad un altro di poter accedere alla psicoterapia ed al professionista di poterlo accogliere. Inoltre, in questo modo, non si crea più quella condizione di dipendenza per niente terapeutica verso il “professionista buono perché non mi abbandona e mi aiuta mentre sono in difficoltà”.
La persona sviluppa, invece, la consapevolezza del proprio diritto alla salute ed alla cura di sé in una relazione comoda perché non fondata su un “grazie” ma su un “voglio”.