La salute mentale della popolazione è entrata nel dibattito pubblico e nell’agenda politica dei governi, Poco prima della pandemia, l’OMS iniziò a segnalare a decisori politici e opinione pubblica l’epidemia di depressione in corso e prevista. Molte forze si unirono nelle richieste di “maggiori investimenti in salute mentale” in un narrazione costruita sulle ripercussioni sulle capacità produttive dei disturbi mentali e sui costi economici della loro gestione. A Gennaio 2020, al World Economic Forum di Davos, termometro dello zeitgeist economico globale, i potenti della terra inserirono la salute mentale in agenda. La pandemia ha accelerato il processo: la salute mentale della popolazione è entrata nel dibattito pubblico e nell’agenda politica, globale e statale, la sua centralità strategica confermata dall’Evento Speciale ad essa dedicato che ha preceduto il G20 dei Ministri della Salute di Roma o dal Summit Mondiale di Parigi del 5 e 6 Ottobre.
Le condizioni di reale disagio vissuto da moltissime persone, soprattutto in condizioni di maggior svantaggio, causate da pandemia e misure di contenimento, acuiscono l’interesse per la salute mentale della popolazione che, forse mai come prima d’ora, rappresenta anche uno spazio economico per la produzione di profitto e un’opportunità imperdibile per la sua commercializzazione da parte di molti attori privati La pandemia ha fatto schizzare sia il consumo di psicofarmaci in tutt’Europa sia le stime di crescita per questo mercato mettendo ulteriormente in crisi il funzionamento di un Sistema Sanitario Nazionale che, dopo anni di tagli e spinte alla privatizzazione, eroga spesso cure povere in quantità, indisponibili e inaccessibili, e qualità, non riabilitanti, poco appropriate e efficaci, quando non dannose. La scarsità di risorse, economiche ed umane, facilita lo slittamento verso un uso dei trattamenti farmacologici dal sapore vetero-fordista, piaga drammatica dell’attuale sistema di cure. In Italia non è possibile fare pubblicità diretta verso i consumatori per le aziende produttrici e queste devono ingegnarsi per capitalizzare. Tuttavia investendo spesso più in marketing che in ricerca (ad esempio Johnson e Johnson nel 2014 spese 6,2 miliardi di dollari in ricerca e 21,9 miliardi per marketing e vendita) le “giornate di sensibilizzazione e consapevolezza ” (negli USA cresciute da 44 a 401 dal 1997 al 2016 con un aumento di spesa da 177 a 430 milioni di dollari per le multinazionali) rappresentano uno strumento privilegiato per l’ampliamento del bacino di consumatori.
Il 10 ottobre è la Giornata mondiale della Salute Mentale. Una multinazionale danese, Lundbeck, organizzerà, per il secondo anno, la campagna di sensibilizzazione “Insiemeperlasalutementale” con molte società scientifiche, fondazioni e associazioni di familiari e pazienti, e grandissima risonanza mediatica. La campagna di Lundbeck monopolizza l’immaginario collettivo e satura lo spazio comunicativo durante la ricorrenza del 10 Ottobre di cui, di fatto, si è appropriata.
Lundbeck, a marzo, è stata condannata definitivamente dalla Corte di Giustizia Europea ad una multa da 93 milioni di euro per un caso di pay-for-delay. Le era inoltre stato revocato un brevetto e ha infranto alcune norme per contenuti pubblicitari nel Regno Unito e molti osservatori avanzano ragionevoli dubbi sulla contraffazione di dati relativi sia all’efficacia di sue molecole e sia sul rischio suicidario nei bambini che assumevano i suoi farmaci.
Tutte le associazioni scientifiche e buona parte di quelle di utenti e le onlus che hanno partecipato all’iniziativa, parlando di salute mentale e di cure, hanno ricevuto quote ingenti di denaro dalla multinazionale nell’anno precedente e Lundbeck ammette candidamente di strumentalizzare la partecipazione di parte società civile, ignara degli interessi che veicola, inserendola nella propria “catena di produzione del valore”. Si tratta di una strategia attraverso cui i pazienti stessi si fanno portavoce dei messaggi funzionali più al profitto dell’azienda che alla salute mentale della popolazione. Così, mentre alcune forze nella società civile, nella comunità scientifica e nella politica sanitaria, senza il potere, la lungimiranza e gli strumenti per affermarsi, provano a contrastare i rischi per la salute connessi ad un uso eccessivo degli psicofarmaci, altre tirano nel verso opposto, in direzione degli obiettivi commerciali dei privati. La campagna non scalfisce, semmai acquisce e offusca, i principali problemi reali. Lundbeck, di fatto, al di là dell’influenza sull’editoria scientifica italiana, nella formazione, anche quella continua, dei medici, in molti progetti di ricerca e divulgazione, sulla produzione delle evidenze e della conoscenza, sulla stesura delle Linee Guida, sta esercitando un potere enorme e sempre maggiore, anche grazie alle pagine social, nell’influenzare la narrazione dominante, la cultura sulla salute mentale, l’atteggiamento dei cittadini nei confronti del proprio disagio e le loro rivendicazioni. E’ spudorata nell’ammettere che il senso pratico e l’orizzonte del suo impegno per l’accessibilità (che non a caso si riferisce ai trattamenti farmacologici, non alle cure) e la lotta allo stigma risieda nella rimozione delle barriere che separano i cittadini dai trattamenti prodotti. In questo sottile ma pervasivo lavoro sull’immaginario collettivo, oggi in Italia, insieme a Jannsen, rappresenta uno degli attori principali che, anteponendo le logiche commerciali all’interesse per la salute pubblica e i sistemi di cura che a queste vengono subordinati, minaccia la salute mentale della popolazione.
Ma se produci farmaci, la malattia, la percezione della sua diffusione e l’identificazione con l’identità di malato sono fondamentali per il profitto, anche se questo significa giocare con la vita delle persone reali e soprattutto con quella di chi, in quanto svantaggiato, ha maggiori probabilità di attraversare il disagio mentale. Non possiamo partecipare a quell’”ideologia della cura” denunciata da Basaglia e che Benedettto Saraceno, già Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’OMS, riprende sottolineando il rischio che il Movimento Globale per la Salute Mentale costituisca, nella pratica, la globalizzazione di un paradigma biomedico e l’affermazione degli interessi materiali che hanno contribuito a costituirlo, che riproduce e degli assetti sociali che mantiene e da cui è mantenuto. La salute mentale è un bene troppo prezioso per lasciare che sia chi lucra sulla malattia ad occuparsene anche se questo è, per quanto malsano, perfettamente legale. Al loro #insiemeperlasalutementale rispondiamo e pratichiamo un convinto #noninsiemeavoi.
Matteo Bessone